Per la terza volta, Luiz Inàcio da Silva, detto Lula, ce l'ha fatta. Dopo una battaglia elettorale al cardiopalma, le elezioni generali tenute in Brasile nel mese di ottobre 2022 hanno decretato la vittoria di questo combattivo personaggio. Una vittoria storica, quella di Lula, ma di misura, con il 50,90% dei voti contro il 49,10% di Bolsonaro: un risultato che conferma lo stato di polarizzazione della politica del Brasile. Al contrario dei suoi due precedenti mandati presidenziali, Lula si ritrova a governare una nazione profondamente divisa, e dovrà affrontare una dura resistenza da parte di un Congresso in cui i suoi sostenitori sono in inferiorità numerica rispetto ai sostenitori di Bolsonaro. Anche le prospettive economiche per il Brasile nell'era della pandemia sono molto meno rosee rispetto a quando era in carica l'ultima volta. Ma Lula è abituato a combattere. Fin da bambino, ha dovuto lottare. Nato nel 1945 nello stato di Pernambuco, nel nord-est del Brasile, settimo di otto figli, ha imparato a leggere all'età di dieci anni, a dodici già lavora: lustrascarpe, operaio in fabbrica. La sera, studia. Nonostante le attività del sindacato siano osteggiate, organizza scioperi, è arrestato, rilasciato. Nel 1980, fonda il Partido dos Trabalhadores (PT), nel 1983 crea l'associazione sindacale Central Única dos Trabalhadores (CUT). Nel 1984 il PT e Lula partecipano alla campagna politica che chiede, per le successive elezioni presidenziali, il voto popolare diretto – abolito dal 1964, dopo il colpo di Stato militare. Ci vorranno ancora anni di lotte civili, per riuscire a eleggere direttamente il presidente. E per Lula comincia la scalata alla presidenza, che riuscirà a conquistare nel 2002 e nel 2006. I due mandati coincidono con uno storico boom delle materie prime, in gran parte guidato dalla domanda cinese, il che gli permette di utilizzare il guadagno inaspettato per sollevare decine di milioni di persone dalla povertà. Quando lascia l'incarico nel 2011- per la Costituzione brasiliana, non si può essere eletti presidente per tre volte consecutive - gli succede la sua protetta, Dilma Rousseff. Lula è ormai noto e apprezzato nel mondo intero. Il suo posto nella storia sembra assicurato …fino alla tragica caduta. Nel 2018 è arrestato per corruzione e condannato a 12 anni di carcere. Ma nel 2021la corte suprema brasiliana annulla la condanna, ed è libero di candidarsi di nuovo. E vince il duello con il suo nemico ideologico: Jair Bolsonaro, uno dei leader più controversi del mondo. Ex capitano dell'esercito, sostenuto dalla destra religiosa, ha promosso un'agenda pro-armi e anti-aborto ed è stato sprezzante nei confronti di una serie di minacce globali, dalla pandemia di Covid-19 al cambiamento climatico. Lula ha vinto, ma da subito la situazione si presenta tutt'altro che facile. Bolsonaro, etichettato come il "Trump dei Tropici", denuncia la manipolazione elettorale senza fornire prove, non ammette formalmente la sconfitta, né si congratula con il socialista Lula per la sua vittoria. In tutto il Paese i suoi sostenitori si accampano fuori dalle basi dell'esercito, sollecitando i militari ad annullare il risultato delle elezioni. Il 2 gennaio, esattamente 20 anni dopo essersi insediato per la prima volta, Luiz Inácio Lula da Silva giura come presidente del Brasile. Alla cerimonia, tenutasi a Brasilia, partecipano 19 capi di Stato, tra cui i presidenti di Argentina, Cile, Colombia, Germania e Portogallo, il re Felipe di Spagna. Tradizionalmente, il capo di stato brasiliano uscente consegna la fascia presidenziale al suo successore, ma Bolsonaro è assente. Ha lasciato il paese per gli Stati Uniti. Gli irriducibili sostenitori del leader conservatore sembrano essersi rassegnati. E' una calma solo apparente. L'8 gennaio i rivoltosi prendono d'assalto i simboli delle istituzioni democratiche del Brasile: il palazzo presidenziale Planalto, quello della Corte Suprema, e l'edificio del Congresso. Ossia le sedi del potere esecutivo, giudiziario e legislativo. I manifestanti sperano in una riedizione di quanto accaduto nel 1964, quando il governo democratico fu rovesciato e sostituito da una dittatura militare, che sopravvisse fino al 1985. Sbagliano. In cinque ore, gli insorti sono allontanati. Il presidente ha avuto il sostegno di tutte le parti del Congresso, e dei militari. Il fatto che la rivolta, per quanto drammatica, sia soppressa così rapidamente, porta a concludere che Lula è uscito rafforzato, non indebolito, dall'attacco. Mentre Bolsonaro, dato il suo esilio autoimposto in Florida e il relativo silenzio da quando ha perso le elezioni, esce indebolito dalla fallita rivolta. Proprio come il 6 gennaio ha accelerato il declino di Trump, stiamo già assistendo a figure dell'opposizione che prendono le distanze dall'ex presidente. La democrazia ha tenuto. È vero, c'è stato l'assalto e la distruzione di edifici governativi e l'arresto in massa dei manifestanti. Ma i sostenitori di Jair Bolsonaro, imitando l'assalto al Campidoglio negli Stati Uniti da parte di un'orda trumpiana il 6 gennaio 2021, non sono riusciti a scatenare una rivolta generale. La nascente superpotenza del Sud America si è dimostrata la casa di una democrazia resiliente con istituzioni, non ultimo il suo sistema legale sempre più robusto, in grado di resistere agli estremi politici. La Corte suprema del paese si è rifiutata di ballare al ritmo di Bolsonaro e mettere in discussione il risultato delle elezioni presidenziali di ottobre: un risultato non da poco, data la ristrettezza della vittoria di Lula da Silva. Il Brasile, quarta democrazia più grande del mondo, abitato da più di 200 milioni di persone e dotato di vaste risorse naturali, è sulla buona strada per assumere il suo posto in prima linea tra le potenze economiche, la sua crescita guidata dalla fame globale per le sue merci. Respingendo l'insurrezione, ha dimostrato di essere una democrazia robusta, capace di resistere a un attacco diretto di ispirazione populista al centro del potere. La democrazia ha tenuto, ma i disordini a Brasilia sono il sintomo di un'inquietudine che non va trascurata. All'inizio del suo terzo mandato Lula si ritrova a dover concentrare tempo ed energie cercando di proteggere le istituzioni del Brasile senza provocare una violenta reazione della destra, anziché dedicarsi a risolvere problemi concernenti la povertà e l'ambiente. L'ampiezza delle divisioni del Paese è inquietante. In un sondaggio pubblicato la settimana scorsa da Atlas Intelligence è emerso che il 38% dei brasiliani sostiene che l'irruzione nei palazzi del governo è in parte o totalmente giustificata, il 40% non crede che Lula abbia realmente vinto le elezioni presidenziali e il 36,8% è favorevole all'intervento dei militari per invalidare il risultato. Il compito di Lula si presenta pertanto tutt'altro che facile. Pur essendo un eroe un po' contaminato, ha però l'esperienza e le capacità per affrontare e vincere le minacce alla libertà democratica. Con la sua elezione, non c'è dubbio che abbia vinto la democrazia. Non solo. Grazie alla vittoria di Lula a gennaio, tutte le grandi economie della regione latinoamericana sono guidate da governi di sinistra.