"DEMOCRAZIA E ANOCRAZIA"

24-01-2022 -

“Non permetterò a nessuno di mettere una spada alla gola della democrazia”, ha detto Joe Biden durante il suo discorso in occasione del primo anniversario dei disordini del 6 gennaio 2021a Capitol Hill. Una promessa, quella di Biden, che non ha sopito i timori sempre più diffusi negli USA: il 64% degli americani, indica un recente sondaggio Ipsos, ritiene che la democrazia sia in pericolo. Il rifiuto di Trump di accettare il risultato delle elezioni del 2020, le violente proteste al Campidoglio nel tentativo di annullarle e il tacito consenso di molti leader repubblicani alla contestazione mai venuta meno, rappresentano una sfida alle norme del governo democratico. La sfiducia nelle istituzioni democratiche non è un fatto recente: è in atto da decenni, radicata in entrambi i lati del corpo politico. Deligittimare l’avversario è ormai diventata routine sia da parte democratica che repubblicana. Non è più indispensabile battere l’avversario alle elezioni, puoi sempre cercare di spodestarlo in un secondo tempo. Pur non meritando il titolo di “insurrezione” – i facinorosi non avevano alcuna chance di rovesciare il risultato delle elezioni- gli eventi del 6 gennaio sono stati gravissimi. Ancora più gravi sono gli sforzi dei repubblicani di minimizzarli: in pratica, un tacito consenso alla plebaglia e all’uomo che l’ha sobillata, raccolta e guidata e ha tentato una via non costituzionale per rimanere al potere. Gli analisti politici ritengono che quanto accadde lo scorso gennaio sia stato solo un inasprimento della guerra civile che sta serpeggiando in America. Secondo un sondaggio dell’Università del Maryland, solo il 69% crede che Biden sia stato legittimamente eletto presidente. Lo stesso sondaggio, condotto nel 2017, mostrò che solo il 57% degli americani ritenevano l’elezione di Trump non frutto di brogli. Anche se i democratici non hanno mai incitato a rovesciare i risultati, hanno tentato di deligittimare ogni elezione presidenziale perduta negli ultimi vent’anni: la vittoria di George W Bush su Al Gore nel 2000, quella di Trump su Hillary Clinton nel 2016. Fra coloro che temono non solo che negli USA la democrazia sia in pericolo, ma che si stiano realizzando i presupposti per una guerra civile, c’è Barbara Walter, docente di politica estera all’Università di California a San Diego. A questo argomento ha dedicato un saggio avvincente “How Civil Wars Start: And How to Stop Them” Viking £18.99 pp320. Tutte le conquiste di questi ultimi decenni (scolarizzazione, diminuzione della povertà, aspettative di vita salite vertiginosamente) sono a rischio, sostiene la studiosa. Dalla fine della prima guerra mondiale sono scoppiate sempre più numerose le guerre civili, mentre democrazie emergenti stanno scivolando verso quell’area grigia che è chiamata “anocrazia”, “qualcosa fra la democrazia e lo stato autocratico”. Questa zona è pericolosa, perché c’è abbastanza libertà per il dissenso e la ribellione, ma le istituzioni sono spesso troppo deboli per prevenire il caos. Quando tutto questo si combina con una politica basata su fazioni etniche o religiose, le probabilità di una guerra aumentano drammaticamente. I conflitti che hanno lacerato la Iugoslavia, portato al genocidio in Ruanda e agli orrori in Siria sono solo tre degli esempi più brutali. Ora stiamo assistendo anche al processo inverso, dice Walter, dove a scivolare verso l’anocrazia sono le democrazie forti. Nell’ultimo decennio c’è stato, per la prima volta, un calo del numero di paesi considerati democratici. Ungheria e India, per citare due esempi, stanno attraversando la fase dell’anocrazia. Con la crescita dei partiti di estrema destra che promuovono odio etnonazionalista, la stessa tendenza si sta manifestando nelle più forti democrazie del mondo, nell’Europa occidentale e nel Nord America. L’attacco del 6 gennaio mostra che anche gli USA stanno retrocedendo allo stato di anocrazia, scrive Barbara Walter. L’aver voluto colpire il più potente simbolo del potere, il Campidoglio, è di per sé sintomo di un paese profondamente diviso e rende plausibile una non lontana seconda guerra civile. Gli ingredienti ci sono tutti: un sistema politico sempre più focalizzato su fazioni razziali e religiose; troppo potere investito nel ruolo del presidente (i paesi con sistema proporzionale non hanno quasi mai guerre civili); e una plebaglia polarizzata che sta perdendo interesse nell’ascoltare qualunque cosa abbia da dire l’altra parte. Fino al 6 gennaio 2021, scrive Walter, “gli americani non erano pronti ad accettare che il loro paese fosse diviso come in effetti era, che ci fosse un sottogruppo di popolazione bianca che non era solo non interessato alla democrazia ma era intenzionato a usare metodi violenti per mantenere il controllo del potere”. Se la situazione negli USA desta allarme, non meno inquietante è il panorama internazionale. Le mire non dissimulate di Pechino su Taiwan, il dispiegamento massiccio di infrastrutture militari russe al confine dell’Ucraina, il Kazakistan messo a ferro e a fuoco dai rivoltosi esasperati dalla corruzione, la povertà, le diseguaglianze economiche e l’aumento del prezzo del carburante e dalla brutale repressione del presidente Tokayev che ha invocato l’aiuto di Mosca per sedare la rivolta, mostrano quanto sia grave la situazione. Ormai, siamo tutti connessi, e ulteriori aggravamenti potrebbero mettere in serio pericolo non solo la pace, ma la stabilità dei paesi democratici. Siamo tutti vulnerabili, scrive Barbara Walter: alcuni paesi hanno istituzioni più solide di altri ma nessuno è esente dal rischio di erosione, e una crisi internazionale agirebbe da accelerante. Da non sottovalutare il fatto che i partiti populisti stanno prendendo sempre più piede, favoriti dai social media con la loro capacità di diffondere messaggi, rendere possibili assembramenti dove si infiltrano personaggi spesso porta voci dell’estrema destra più violenta: l’assalto alla sede romana della CGIL è un fatto recente. La data delle elezioni si avvicina: in Italia, in Francia, in Ungheria. In Francia è la destra populista e nazionalista a guidare la sfida all’attuale presidente Emmanuel Macron. A Budapest, Victor Orban - populista, illiberale e nazionalista- siede saldo al governo dal 2010 e pare intenzionato a non mollarlo. In Italia, il 24 gennaio sono cominciate le votazioni per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. In gioco è il futuro del nostro paese. Un Presidente eletto da un’ampia maggioranza può garantire la difesa della Costituzione. Un presidente eletto dalle destre – che sulla carta, sono in grado di raggiungere i 505 voti necessari alla vittoria del loro candidato a partire dalla quarta tornata – rappresenterebbe l’inizio di una svolta auspicata da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, i quali non hanno mai nascosto la loro vicinanza al leader ungherese.





Fonte: di GIULIETTA ROVERA