Andando apparentemente contro uno dei principi fondamentali dell'UE, la Corte Costituzionale polacca ha sancito che l’organizzazione del potere giudiziario non è tra le competenze trasferite dalla Polonia alla Ue; che, di conseguenza, la Ue non ha competenza per valutare la giustizia polacca e il suo funzionamento e, infine, che le norme costituzionali nazionali prevalgono su quelle comunitarie.
Il Parlamento e la Commissione dell’UE, a loro volta, hanno tentato di delegittimare la Corte Suprema polacca accusandola di essere politicamente dipendente dal potere esecutivo e, addirittura, “di non essere qualificata per interpretare la costituzione del paese”. E c’è già chi parla di ‘Polexit’, volontaria o imposta. Un mix che ha gettato benzina sullo scontro tra Polonia e Unione europea sullo stato di diritto.
Il presidente del Parlamento Ue, Sassoli, ha proclamato: "Con chi disapplica le regole saremo inflessibili"; intervenendo al dibattito in Parlamento, il Presidente della Commissione, la brava Ursula von der Leyen, si è detta preoccupata per una tale sentenza e ha aggiunto che la Commissione la sta valutando attentamente perché mette in discussione le basi stesse della Ue e costituisce una sfida diretta all'unità degli ordinamenti giuridici europei. E, sulla possibile azione della Commissione, ha aggiunto: "Le opzioni sono ben conosciute: le procedure di infrazione, il meccanismo di condizionalità ed altri strumenti finanziari. E l'articolo 7, uno strumento potente su cui dobbiamo tornare".
L’art. 7 è infatti l’arma atomica nelle mani dei potentati dell’UE: ma queste sanzioni possono essere legittimamente applicate contro lo stato membro che non avesse rinunciato alla propria sovranità nella materia in contestazione? Si può arrivare alla sua espulsione dall’Unione, non prevista dai trattati di adesione mentre è previsto il diritto di secessione degli stati membri? O alla ritorsione minacciata in questo caso dal Parlamento UE?
Infatti, il Parlamento ha approvato una mozione che impegna la Commissione a non concedere i fondi del Recovery Plan alla Polonia, per giunta recidiva avendo già violato i valori dell'Unione in maniera sistematica (per esempio con una legge che limita l’aborto ai soli casi di incesto, stupro e pericolo di vita per la madre). Prendiamo atto che l’aborto rientra tra i valori dell’Unione Europea!
L’anno scorso, i giudici costituzionali tedeschi, che contestavano la legittimità del quantitative easing draghiano rispetto all’ordinamento costituzionale tedesco, erano arrivati alla stessa conclusione cui ora è giunta la Corte polacca.
Allora però Parlamento e Commissione non batterono ciglio. Questa doppia misura di reazioni viene spesso usata dalle istituzioni dell’UE. Per fare un esempio, mentre riguardo al fenomeno della massiccia immigrazione in Italia, in Grecia, in Spagna, viene fatto valere con forza il trattato di Dublino e nulla si fa per la tante volte promessa redistribuzione dei migranti, l’UE sostiene invece la legittimità della chiusura delle frontiere tra Polonia e Bielorussia, il cui Presidente, Lukashenko, pare abbia artatamente spinto nelle foreste ai confini con la Polonia migliaia di immigrati desiderosi di approdare in Europa: la Von der Lyen ha addirittura ipotizzato la possibilità di un intervento della NATO in difesa dei confini dell’UE.
Una tale premura non ci sorprende: infatti, i migranti passerebbero dritti dritti dalla Polonia in Germania.
Il principio per cui, in caso di conflitto, il diritto Ue prevale sempre su quello degli Stati membri è di natura giurisprudenziale; esso è stato stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Van Gen en Loos: non esiste, nei trattati istitutivi dell’Unione, una norma specifica che preveda che «la Comunità costituisce un ordine giuridico di tipo nuovo nel campo del diritto internazionale, e gli Stati hanno rinunciato in suo favore ai loro poteri sovrani».
Ma basta che la CGUE abbia affermato la teoria «monistica», secondo la quale il sistema giuridico dell'UE è integrato con i sistemi giuridici nazionali perché le regole del diritto dell'UE prevalgano sulle regole nazionali?
Può darsi che sia così; tuttavia – anche se sappiamo dalla storia come le Corti di giustizia possano svolgere un ruolo di enucleazione di principi costituzionali per così dire latenti: per esempio, la Corte Suprema americana riuscì ad affermare il principio della judicial review, non esplicitamente previsto dalla Costituzione degli Stati Uniti – non crediamo che ciò sia possibile nell’assetto attuale UE.
In America si trattava, appunto, di una costituzione che prevede esattamente la separazione dei poteri e delle competenze tra i due livelli di governo, federale e degli stati.
Salomonicamente potremmo dire che, in questo caso, Polonia e UE abbiano sia torto che ragione: la prevalenza dell’uno o dell’altro ordinamento giuridico oggi è molto incerta se non per gl’impegni che i singoli stati assumono nel trattato di adesione. E sarà incerta fino a quando non sarà stata fatta una precisa, specifica, definitiva distinzione e attribuzione delle competenze e dei poteri e non sarà stato istituito un meccanismo legittimo, condiviso ed efficiente per fare valere la gerarchia stabilita: fino a quando l’Unione Europea non riuscirà a darsi una costituzione che ne possa definire i poteri rispetto a quelli riservati agli stati membri – è qui è da richiamare la limpida formula del X Emendamento della Costituzione del Stati Uniti – non ci sarà corte di giustizia che possa far valere la sua giurisprudenza.
E non va bene che sia così; per superare il confederalismo, se si vuole una ‘più perfetta Unione’ dei nostri stati nazionali e far sì che, attraverso l’Unione, la sovranità degli stati membri si rafforzi – come una volta disse Mario Draghi, «l’Unione Europea è la costruzione istituzionale che in molte aree permette agli Stati membri di essere sovrani» – bisogna avviare quel federalizing process che ha avuto successo in America e che significa, appunto, rispetto dei diritti delle comunità che ne sono partecipi, rispetto delle autonomie e della sfera di sovranità delle singole unità entro una cornice costituzionale dell’Unione.
Non temiamo di usare questa parola in un’epoca in cui il cosiddetto sovranismo è stato messo al bando; non lo temiamo perché, finito il totale isolamento, se il sovranismo può rappresentare un freno nel cammino verso forme di unioni sovranazionali, è pure vero che, agli stati membri di una ‘unione’, si deve dare sicurezza dentro la propria sfera di poteri e di competenze.
Il concetto di sovranità va riformulato in una nuova ottica, forse quella suggerita da Otto Bauer e Karl Renner, quella di uno «Stato federativo delle nazionalità», in cui la sovranità si trova divisa a differenti livelli della vita politica, nel riconoscimento delle “piccole patrie” di cui parlava Jacques Maritain.
Questo vale per la nostra Unione Europea. Come dice Jurgen Habermas, la via per superare la tecnocrazia europea e incamminarsi verso la democrazia sovranazionale è quella della ‘sovranità condivisa’, che è la sola via da percorrere per la protezione dei diritti degli individui insieme con quelli delle loro comunità.