La Repubblica, il 2 giugno, ha compiuto 75 anni. Il suo compleanno, nell'Italia della pandemia se pur calante, testimonia, ancora una volta, di come essa sia il bene comune più grande e solido del nostro Paese. Non sarà solo grazie ai soldi europei se esso poterà rialzarsi non solo dalla devastazione pandemica, ma da quei ritardi storici che oltre un quarto di secolo hanno aggravato per la crisi aspra e profonda patita dalla politica democratica; di un sistema democratico privo di vera politica, di soggetti che la interpretano e la fanno vivere nonché del conseguente vuoto di una classe dirigente all'altezza del proprio compito. L'insieme di questi vuoti ha condotto il Paese nel populismo che è l'espressione della “miseria della politica”.
Il compito affidato a Mario Draghi ha, in primis diremmo, proprio il compito di rinnestare un processo di riposizionamento della politica sui binari della democrazia repubblicana. Il presidente del consiglio sembra esserne pienamente consapevole tanto che, più volte, si è richiamato allo spirito repubblicano, ma a vedere da come si muove il quadro politico, non lo si è voluto capire.
L'Italia va ricollegata ai valori della Repubblica che la nostra Carta costituzionale, benché ferita da innovazioni dovute alla contingenza di talora irresponsabile improvvisazione, esprime nell'altezza della sua ispirazione e nella precisione dei principi che ne costituiscono il programma. La Repubblica ha, infatti, rappresentato un passaggio storico rivoluzionario nella storia d'Italia avviandola verso quella modernità che un'unità mal fatta prima e il fascismo poi, le hanno negato. Riscattatasi alla libertà, ha saldato se stessa e le generazioni del Paese destinate a succedersi nella Costituzione: un vero e unico “compromesso storico.” Naturalmente il programma costituzionale, per quanto vi è di scritto nella Carta e per quanto ne emana quale “spirito repubblicano” è affidato alle forze politiche. Questione che diviene ardua, se non impossibile, nel vuoto dei partiti che della dinamica democratica sono gli imprescindibili protagonisti.
La rinascita della politica democratica non può prescindere dalla base costituzionale su cui si regge l'insieme pubblico e privato del nostro Paese, ma ciò non potrà essere se il processo complessivo prescinde dai valori repubblicani che costituiscono l'unico probante fattore sulla cui base si può parlare dell'Italia quale “nazione” nonché della concretezza del farsi della democrazia e, quindi, nell'ispirazione costante ai supremi valori della libertà senza i quali non c'è sistema democratico che tenga.
Riferirsi ai valori della Repubblica è, inoltre, fondamentale per mettere mano a quella crisi morale di cui soffriamo, ma della quale nessuno parla; una questione anch'essa storica, che viene da lontano precedendo la stessa nascita dello Stato unitario. Ma per essa non servono i soldi dell'Europa, bensì della volontà degli italiani a superare gli atavici difetti da cui sono affetti. Le questioni morali non sono risolte da alcuna tecnicalità ma solo dalla volontà di costruire su dati etici e quando il problema investe il complesso dello spazio pubblico, come nel caso dello Stato, da una politica che abbia struttura valoriale.
Ora il Paese è all'onere della prova; di una doppia prova, quella del programma di modernizzazione e di ricostruzione per cui ci sono state assegnate ingenti risorse e quella di un'acquisizione morale all'altezza della situazione. E come tale doppia prova può essere affrontata e vinta se si prescinde dal senso profondo della Repubblica? Riappropriarsi interamente dei valori e del senso concreto della Repubblica costituisce il fondamento per avviare la nuova fase della vita del Paese e non perdere l'occasione che non si ripresenterà.