La situazione della Calabria sta tenendo campo da settimane nelle cronache italiane. Da voci autorevoli abbiamo sentito dire che la regione dello stivale è oramai di fatto irrecuperabile. E allora, dobbiamo arrenderci? Dobbiamo lasciar perdere e cercare di arginare quanto lo può essere se pure al meglio delle possibilità dello Stato di farlo? Allora, fermo restando che debba essere fatto quanto al massimo possa essere fatto per arginare la deriva negativa di una regione in cui lo Stato risulta minoritario rispetto a realtà ben più forti sul territorio e su gli interessi malavitosi e di bassa politica che vi si riscontrano, siamo fermamente convinti che se la regione - storicamente la più indietro da sempre - versi oggi in questa drammatica situazione, ciò è dovuto anche all’abbandono del tema storico della questione meridionale; che è, appunto, “storico” in quanto esso rappresenta il problema centrale irrisolto di una nazione irrisolta fin dalla nascita dello Stato unitario.
La Calabria è all’apice di una sofferenza che avvolge un po' tutto il nostro Meridione, oggi non solo italiano, ma dell’Europa. E se il quadro generale ci offre lo spettacolo di una classe politica che è quella che è, non è anche responsabilità della mancanza di un dibattito serio – che nel passato c’è stato dando pure i suoi risultati politici positivi – che faccia da lievito alla crescita di una società civile non costretta a giocare perennemente in difesa, ma in costante tensione nell’impegno della presenza democratica la quale, prima di tutto, rompa l’aurea di rassegnazione che, per quanto condita di rabbia, sembra per lo più prevalere?
Battere la sfiducia, incidere in una mentalità generale che necessita di impadronirsi, nei larghi numeri, della modernità; sfondare le chiusure culturali e aprire nuovi spazi reali di democrazia, di legalità, di partecipazione civile. E’ una scommessa che riguarda, in primo luogo, la Calabria, ma con altrettanta rilevanza l’Italia tutta.