Ovvero, come ti garantisco ‘er popolo’: non facendolo votare!
26-01-2020 -
La Corte Costituzionale ha finalmente stabilito, con un'altra delle sue ‘sagge' sentenze additive, un principio che rafforzerà la nostra democrazia garantendone la piena adesione ai ‘valori della costituzione antifascista'.
La Corte ha deciso che il quesito referendario proposto per l'abrogazione di quelle parti ‘proporzionaliste' della legge elettorale vigente (‘rosatellum') e per renderla così totalmente ‘maggioritaria', non sarebbe ammissibile perché eccessivamente manipolativo della legge abroganda e perché, in caso di vittoria dei si, lascerebbe un vuoto normativo in materia di collegi elettorali: cioè la normativa risultante non sarebbe, nel gergo della ‘Consulta', immediatamente autoapplicativa.
Contraddicendo se stessa, la Corte – che, non più tardi di cinque anni fa, ha giustamente affossato il ‘porcellum' dichiarando parzialmente incostituzionale quella legge elettorale a causa del premio di maggioranza irragionevole e delle liste bloccate – oggi nega al popolo il potere di fare sulla legge elettorale, quello stesso intervento chirurgico ‘endoscopico' che allora essa operò con una sentenza cosiddetta immediatamente autoapplicativa, ovvero che prevedeva che, una volta cancellata quella elettorale, ne venisse fuori uno nuovo, un proporzionale puro senza premio di maggioranza, evidentemente l'esatto contrario della legge annullata.
Quel potere di cambiare le regole elettorali, oggi negato al corpo elettorale, fu allora esercitato dalla Corte ‘manipolando' radicalmente la legge dichiarata incostituzionale e imponendone un totale cambiamento in senso proporzionale (‘consultellum').
Non vogliamo entrare nel merito dell'immediata autoapplicatività: è una questione di lana caprina da lasciare ai saggi giuristi; né vogliamo negare alla Corte il diritto di cambiare opinione. Ma vogliamo sottolineare la paradossale situazione nella quale la sentenza che oggi boccia il referendum pone il nostro sistema politico-costituzionale: se ne deduce che il popolo non possa mai votare quando sia in discussione la sopravvivenza di quelle regole sulle quali poggia il partito o la coalizione di partiti al governo.
Ce ne renderemmo conto solo se ci si ricordasse come, dopo il referendum Segni – ammesso allora dalla Corte anche se eccessivamente ‘manipolativo' –si siano avute in Italia, in poco più di 25 anni, ben quattro leggi elettorali che, a partire dal famoso ‘mattarellum' – l'ircocervo maggioritario-proporzionale – hanno tutte avuto lo scopo, illustrissimo, di fare il maggior danno possibile all'opposizione e il maggior utile possibile alla maggioranza che le promuoveva (anche se, a onor del vero, spesso l'opposizione ha partecipato a questa ‘promozione').
Nessuna di queste leggi ha mai recepito la volontà popolare, molto chiara (80% dei votanti), espressa in quel referendum in favore di una legge elettorale ‘maggioritaria', né la Corte Costituzionale, che per due volte ha avuto l'occasione di pronunciarsi su tali leggi, ha mai rilevato come esse contraddicessero quel risultato referendario sia pure – non avendo un tale rilievo alcuna conseguenza costituzionale – solo per segnalare il distacco tra paese reale e paese legale.
E bisognerebbe ricordare, anzitutto, che quel referendum Segni fu allora proposto per risolvere il famoso problema della ‘governabilità', termine allora in uso per surrogare quello di ‘instabilità', cioè la modalità di esistenza in vita dei ‘governi' cui ci aveva consegnato la legge elettorale proporzionale allora vigente.
Oggi, la maggioranza di governo propone una nuova legge elettorale proporzionale – con una soglia di sbarramento al 5% e il cosiddetto diritto di tribuna per tutti – giustificandone la ‘ratio' con il fatto che il famoso bipolarismo sarebbe ormai caduto, prima per effetto dell'irruzione del ‘tripolarismo' pentastellato e, ora, a causa della presenza in campo di una vera e propria ‘orda' di partiti e partitini. A mio modesto parere, questo argomento non ha alcuna validità.
Infatti, i sistemi elettorali maggioritari non sono buoni soltanto se e quando in lizza vi siano due partiti: del resto, il bipartitismo è una favola; in Gran Bretagna vi è un'infinità di partiti; molti di essi non arrivano mai in Parlamento; qualcuno conquista qualche seggio ‘tribunizio' ma il giuoco lo fanno i partiti che riescono a ottenere il maggior numero dei consensi; negli Stati Uniti è la stessa cosa e il ruolo dei cosiddetti ‘terzi partiti' – vedi il partito ‘progressista' di Theodore Roosevelt negli Stati Uniti – è importantissimo per l'evoluzione del sistema dei partiti favorendo, volta a volta, lo spostamento del baricentro verso destra o verso sinistra.
Ciò che conta, nella democrazia rappresentativa/costituzionale, è che la competizione elettorale sia aperta a tutti, senza restrizioni, ma anche che, una volta che la competizione sia stata fatta, ne sia chiara e rispettata l'espressione della rappresentanza: ciò che conta, insomma, è che la rappresentanza possa avere una valenza politica e non soltanto aritmetica quale, invece, può dare una rappresentanza proporzionale. Come diceva Ferdinand Hermens, la rappresentanza proporzionale è ‘sbagliata' perché ‘impantana' il processo di formazione della decisione politica; insomma, le garanzie per le minoranze vanno ricercate altrove, in quei ‘checks and balances' che fino ad ora la ‘scienza costituzionale' è stata capace di inventare e che vanno salvaguardati contro coloro che credono di migliorare il sistema abbattendone qualche pezzo – per esempio, il bicameralismo – o snaturandone la ‘ratio' – per esempio, scioccamente uniformando le basi della rappresentanza nelle due camere.