L'hanno definito il cuore nero dell'Europa: un piccolo Paese senza sbocco al mare con una popolazione di10 milioni di abitanti, che ha assunto un'importanza e una copertura mediatica internazionale ben al di sopra del suo peso reale: l'Ungheria. Non è casuale quindi che autorevoli studiosi, il britannico Norman Stone e l'ungherese Paul Lendvai, le abbiano dedicato due saggi di grande interesse. Norman Stone in Hungary – A Short History si dilunga sulla storia recente del popolo magiaro: è stato il regime autoritario di Miklos Horthy (oggi entusiasticamente riabilitato a Budapest) il primo nell'Europa centrale a introdurre leggi antisemite nel 1920, scrive Stone. E nell'estate 1989, fu l'Ungheria a guidare la strada verso la libertà dell'Europa dell'est, smantellando la barriera di filo spinato che separava l'Oriente dall'Occidente e contribuendo così alla caduta del muro di Berlino. Per chiunque ricordi quei giorni esaltanti e ancora creda nella democrazia liberale è sconfortante constatare la direzione che il Paese ha preso recentemente: quella imposta dal primo ministro Victor Orbàn, il cui stile, caratterizzato da nazionalismo autoritario e populismo demagogico, sta vendendo bene fra gli aspiranti duri europei. In Orbàn: Europe's New Strongman, Paul Lendvai si sofferma invece sul leader magiaro. Nessun altro leader europeo, scrive Lendvai, gode di un così stretto controllo sul potere come questo scaltro e cinico politico che, in un quarto di secolo, è passato dall'ideologia liberale e anticomunista a un populismo di destra, che gioisce nello sfidare la democrazia liberale e conta fra i suoi amici il presidente russo Vladimir Putin. Passata dal fascismo allo stalinismo al comunismo, sembrava che nel 1989 l'Ungheria fosse approdata finalmente alla democrazia. Esattamente 10 anni dopo, Viktor Orbàn vince le elezioni. Ma è una vittoria di misura e dopo breve tempo, il governo cade. Nel 2010 riprende il potere forte di due terzi dei seggi in Parlamento. “Il nuovo Stato che stiamo costruendo in Ungheria – afferma - è uno Stato illiberale, non uno Stato liberale”. Su queste basi avvia il processo per scrivere una nuova Costituzione, e poco alla volta, sotto il suo ferreo controllo, il Paese slitta verso l'autoritarismo. Sono sotto gli occhi di tutti il deterioramento dello stato di diritto, la fine della separazione dei poteri, i brogli elettorali, la creazione di un'oligarchia, la corruzione, il clientelismo di massa, il controllo dei media che esercita in misura crescente, la sua opposizione all'immigrazione extracomunitaria. Viktor Orbàan è nato nel 1963. Dopo la laurea in giurisprudenza a Budapest, grazie a una borsa di studio della Fondazione Soros, ha potuto iscriversi a Scienze Politiche al Pembroke College di Oxford. Nel 1989, quando l'Ungheria comunista è sull'orlo del collasso, nella Piazza degli Eroi di Budapest questo giovane 26enne, già noto per le sue posizioni liberali, si alza a parlare e non lascia indifferente l'uditorio per l'energia, l'efficacia del discorso. Dotato di non comune talento e non comune fortuna, manifesta presto le caratteristiche che contraddistinguono gli “uomini forti”: buona dose di cinismo, rifiuto di ogni critica. Come sottolinea Lendvai, identificandosi con lo Stato e la nazione, se lo critichi, diventi un “traditore della Patria” o un “nemico del popolo”: chi attacca me attacca l'Ungheria, afferma infatti Orbàn. A spianare la strada al potere di Orbàn hanno contribuito vari fattori, non ultimo l'inadeguatezza della sinistra al governo, che aveva deluso l'elettorato a causa della sua incompetenza in economia e la corruzione. Orbàn, che si definisce un “plebeo di destra”, si presentò come “il nuovo”, il giovane outsider contro una sinistra che altro non era che “un disgustoso pozzo di serpenti di vecchi comunisti e sinistrorsi carrieristi che posavano da democratici sociali”. Altro fattore che ha giocato un ruolo importante è l'aver intuito l'importanza del ruolo che la Chiesa poteva giocare. Lui, che nel 1986 aveva rifiutato il matrimonio religioso, quando diviene consapevole del fatto che la Chiesa riveste una parte importante nella vita degli ungheresi, non tarda a prendere contatti con le gerarchie ecclesiastiche. Non è casuale che la nuova Costituzione voluta da lui sottolinei l'importanza della centralità della famiglia, della tradizione, dell'etica e della religione cattolica. L'ultima legge approvata dal suo governo è la cosiddetta "legge sulla schiavitù": autorizza il datore di lavoro a costringere i dipendenti a straordinario forzato fino a 400 ore l'anno e a pagare quanto dovuto nei tre anni successivi. Il ministro dell'Interno Italiano Matteo Salvini non è lontano dalle posizioni politiche di Viktor Orbán. E' un futuro analogo a quello ungherese che devono aspettarsi gli italiani?