"SANDERS E I TEMI SOCIALISTI"

26-02-2019 -

Dato spesso per morto, il socialismo, l’idea che sopravvive anche ai più burrascosi rovesci elettorali, che decretano, semmai, la fine di un partito, ricompare motuproprio, nonostante i de profundis malamente intonati.

Perché il socialismo è un tutt’uno con la vita umana: esso si configura, è il progetto dell’uomo che per natura è un essere sociale in quanto vive, sta insieme, lavora e collabora con i tanti altri membri della società di cui fa parte.

Il dogma neoliberista di Margaret Thatcher e Ronald Reagan ‘la società non esiste’ ma esistono ‘Gerhard, Tony, Bill, George, Therese’, per cui ‘there is non alternative’, viene oggi smentito proprio nei due paesi più capitalisti del mondo, Usa e Regno Unito, da ‘Our Revolution’ di Bernie Sanders e da ‘For the many, not the few’ di Jeremy Corbyn.
“Questa volta vinceremo”, ha detto Sanders, il 77enne senatore socialista del Vermont, annunciando la sua candidatura alle presidenziali americane del 2020 contro il populista di destra Donald Trump, definito “pericoloso bugiardo patologico”.
Ma che significa la parola “vittoria”? Sanders lo ha diffusamente spiegato nel capitolo finale del suo ultimo libro, Where We Go From Here: “La rivoluzione politica vuol dire pensare in grande. Essa non riguarda una particolare elezione, un candidato, una questione. Vuol dire creare un movimento capace di trasformare la vita culturale, politica, sociale, economica e ambientale di questo Paese”.
La controffensiva socialista parte, dunque, non dal Vecchio Continente ma dagli Usa dove si scopre che la parola socialismo non più una bestemmia, tanto che Trump si è subito affrettato ad evocare lo spettro del “socialismo alla Maduro” per esorcizzare il nemico numero uno, Sanders il socialista.

Si può dire che la più grande vittoria politica di Sanders, fino ad oggi, è stata quella di essere riuscito a orientare in senso più progressista l’agenda del partito democratico per cui si è candidato, quello stesso partito che, in effetti, nel 2016 ha fatto di tutto per impedirgli l’ascesa presidenziale.

Per certi versi, Sanders ha già vinto. E i motivi per cui questa affermazione non è solo retorica li sintetizza in modo strategico il video in cui il senatore indipendente del Vermont ha annunciato la sua candidatura.

Un video in cui vengono messi in evidenza tutti i temi di dibattito che Sanders, da quando nel 2016 è stato battuto, secondo alcuni “sabotato”,
dalla candidata dell’establishment democratico Hillary Clinton, è riuscito ad imporre vittoriosamente sul panorama politico americano.

E le premesse non erano certo le migliori: perché l’orgoglio socialista dell’anziano candidato stona macroscopicamente con la tradizione e la cultura a stelle e a strisce.

Eppure, molti segnali indicano che qualcosa negli Usa sta scambiando.
Tra i più evidenti segnali, il fatto che proposte considerate “estreme” siano entrate nel dibattito dell’area democratica del Paese. Nel 2017, Sanders ha lanciato il suo piano “Medicare for All”, co-patrocinato da altri esponenti democratici: ben sedici, un numero che, solo un anno prima, sarebbe stato impossibile da raggiungere. E il tema è diventato uno dei principali punti della campagna di Alexandria Ocasio-Cortez, e, nelle elezioni di Midterm di novembre, era appoggiato dal candidato democratico alla Camera in almeno la metà delle competizioni più contese.
Significativo poi il fatto che i quattro senatori democratici più in vista attualmente in corsa per la Presidenza – Kamala Harris (California), Elizabeth Warren (Massachusetts), Cory Booker (New Jersey) e Kirsten Gillibrand (New York) – avessero all’epoca co-sponsorizzato il piano proposto da Sanders.
Altro tema “socialista” di Sanders, le università pubbliche e gratuite, su cui ancora tanto c’è da fare, ma che è oggi una realtà in ben 20 Stati, per non parlare del cambiamento climatico, altro pezzo forte di Sanders, divenuto tale anche per molti competitors democratici: a esprimere il loro sostegno per il Green New Deal – idea scaturita dal confronto vis-a-vis con Yanis Varoufakis - la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar, Kamala Harris, Kirsten Gillibrand, Elizabeth Warren, Cory Booker, oltre al sindaco di South Bend, Pete Buttigieg.
Altre battaglie vinte da Sanders: il “bye bye New York” di Amazon, e qui è stato supportato dalla sua “discepola” newyorkese Ocasio-Cortez; la proposta di legge democratica per alzare il salario minimo; l’impegno preso da Amazon ad alzare il salario minimo dei dipendenti; la decisione del Comitato Nazionale Democratico di eliminare i super delegati; lo storico voto del Senato per terminare la guerra nello Yemen, obiettivo per cui il senatore del Vermont si era sempre battuto in prima linea.
Resta da capire quanto una maggior disponibilità dei democratici a imbracciare un certo “populismo di sinistra” possa essere efficace nell’obiettivo primario di far perdere a Trump la Casa Bianca, e quante siano, in effetti, le chance di vittoria dello stesso Sanders.
Quanto al primo punto, se nessuno ha a disposizione una sfera di cristallo, è sempre utile osservare il dato passato: nelle scorse presidenziali, Hillary Clinton è stata percepita come candidata dell’establishment, di Wall Street, dei grandi interessi, e Trump, che pure veniva dal mondo degli affari, ha giocato su tale contrapposizione riuscendo a farsi passare per l’”outsider”.
Non si sa cosa ne sarebbe stato di Sanders; sappiamo però cosa ne è stato della sua rivale.
Quanto al secondo, le opinioni sull’argomento non sono concordi. Alcuni repubblicani e anche alcuni democratici sono convinti che una vittoria del senatore del Vermont alle primarie sarebbe il miglior presupposto per la rielezione di Trump, che avrebbe buon gioco nel prospettare l’equivalenza Sanders-Maduro.
Dal canto suo, il candidato ha già risposto in proposito: “Sanders non vuole che gli Usa siano in una situazione economica orribile che purtroppo esiste in Venezuela in questo periodo. Quello che Sanders vuole è imparare da Paesi in giro per il mondo che fanno meglio di noi in tema di diseguaglianze”.
In conclusione, “tre anni fa abbiamo portato avanti un’agenda progressista e ci veniva detto che le nostre idee erano radicali ed estremiste - rivendica oggi Sanders – Bene, ora sono passati tre anni e come risultato milioni di americani hanno lottato, e quelle idee sono sempre più sostenute da una maggioranza di americani”.


Fonte: di CARLO PATRIGNANI